Installazione Ubuntu webserver pronto all’uso [per esordienti totali]

Esistono diverse edizioni di Linux chiamate distro (da distribuzione) ed una delle più popolari e maggiormente utilizzate (oltre che da me preferite) è Ubuntu, una distribuzione derivativa da quella di Debian.

Senza entrare in ulteriori dettagli vediamo quindi come realizzare un webserver pronto all’uso con Ubuntu.

Anzitutto dobbiamo scaricare il sistema operativo dal sito ufficiale.

Scegliete il meccanismo di download che più vi aggrada.

La versione che utilizzeremo sarà la 16.04.2 LTS.

Le versioni LTS (long-term support) offrono invece aggiornamenti per cinque anni: l’ideale per chi ha bisogno di maggiore stabilità.

Altri ingredienti necessari saranno:

  1. VirtualBox (se non avete ancora una macchina fisica su cui installare il server)
  2. putty per l’accesso in SSH al nostro server (sui vantaggi nell’usarlo torneremo successivamente)

Una volta tutto preparato usiamo l’ISO scaricata dal sito ufficiale per iniziare con l’installazione.

Anzitutto ci viene richiesta la lingua, possiamo selezionare l’italiano.

A questo punto selezioniamo “Installa Ubuntu Server”, altre funzioni sono molto utili ma non necessarie in questo momento.

Prima che l’installazione cominci, dal momento che abbiamo scelto l’italiano, veniamo avvisati che alcune parti potrebbero non essere tradotte, quindi saranno in inglese. Niente di importante o che possa compromettere il sistema. Scegliamo quindi di proseguire. Ricordo che ci si può muovere tra le impostazioni premendo la tabulazione (tasto TAB, quello sopra BLOC MAIUSC con le frecce in opposizione), quando scegliamo l’opzione desiderata premiamo INVIO.

Confermiamo il paese come Italia.

Scegliamo di NON determinare automaticamente la tastiera, in genere non è necessario se lavoriamo con una tastiera standard.

A questo punto ci viene richiesta la disposizione della tastiera e lasciamo ancora una volta Italian.

Selezioniamo la prima scelta, nella maggior parte dei casi andrà bene. Se siamo a conoscenza del modello esatto della tastiera, se lavoriamo per esempio con la tastiera di un Mac, scegliamo la voce opportuna.

A questo punto ci viene chiesto di dare un nome al nostro computer, detto nome host, per esempio lo possiamo chiamare ubuntu.

A questo punto ci viene chiesto il nome completo dell’utente, potrei mettere Petar Karan, ma per semplificarmi la vita metto semplicemente petar.

Ora ci viene chiesto il nome dell’account, qui è importante scegliere bene perché sarà anche il nome di login e necessario per altre operazioni dopo, quindi conviene che sia pratico da digitare. In teoria sarebbe opportuno che fosse composto di sole minuscole e caratteri alfanumerici senza spazi.

Inseriamo adesso una password per il nostro account. Qui vi ricordo che l’account root resterà disabilitato di default e con l’utente di sopra e questa password, utilizzando sudo, potremo eseguire le operazioni con privilegi di amministratore. La password dovrebbe essere complessa nel caso che il server sia messo in rete.

Adesso ci viene chiesto se vogliamo cifrare la nostra cartella dell’utente; se non abbiamo timore di perdere il disco o che questo possa essere rubato, non è necessario cifrare la cartella, perché questo appesantirebbe le operazioni successive sui file della medesima (anche se non in modo significativo).

Ci viene chiesto di configurare l’orario del nostro computer, per noi in Italia la zona corretta è Europe/Rome; se va bene possiamo proseguire.

Adesso è il momento di partizionare il disco. Scegliamo di farlo con LVM, il che ci permetterà ulteriori operazioni e modifiche dopo, ma non entriamo nel merito adesso. Diciamo che se intendiamo ingrandire lo spazio sul nostro server e poter gestire agilmente il backup, LVM è quello che fa per noi.

A questo punto scegliamo il disco su cui effettuare l’installazione e da partizionare. Il disco stesso sarà ovviamente formattato. Nel mio caso sto lavorando su una macchina virtuale con un disco da 50GB. Faccio notare che 50GB secondo lo standard tradizionale equivalgono a 53.687.091.200 byte che qui vengono mostrati secondo lo standard scientifico, quindi 53,7 GB.

Adesso ci viene chiesto se intendiamo procedere. Diciamo pure di .

Ci viene chiesto di confermare la quantità di memoria da dedicare al gruppo di volumi (LVM). Per adesso su fiducia possiamo dire di selezionare tutto.

Ultima conferma per procedere. Faccio notare che sono stati creati due gruppi di volumi uno per la partizione root e uno per lo swap di sistema (per chi ha familiarità con Windows si tratta di uno spazio sul disco che viene usato per la memoria virtuale del sistema, così come succede su Windows con la memoria fisica – la RAM – e i file di paging)

Adesso ci viene chiesto di configurare, laddove fosse necessario, un server proxy. Nel mio caso, non avendo la rete dietro a proxy, posso saltare la configurazione.

Ci viene chiesto se vogliamo o meno effettuare aggiornamenti automatici. Per quanto siano importanti è bene che li gestiamo noi di persona, verificando via via se sia opportuno o meno aggiornare il server, specialmente se sarà un webserver con servizi offerti a utenti terzi. Qualche aggiornamento potrebbe non andare come ci aspettavamo e potremmo doverlo correggere seduta stante, quindi è meglio gestirli manualmente.

Ora è il momento di selezionare quali software vogliamo aggiungere alla nostra installazione. ATTENZIONE! La selezione viene effettuata premendo il tasto SPAZIO (la barra spaziatrice) e muovendoci con la tabulazione (TAB). Se si preme INVIO l’installazione prosegue con le voci selezionate. Prima di premere invio dovete avere le voci con gli asterischi come nel mio esempio.

In particolare vogliamo installare subito il server LAMP (Linux + Apache + MySQL + PHP) che sarà il nostro classico webserver e il server SSH. Li potremmo installare anche successivamente, ma perché perdere tempo se si può fare subito?

Dal momento che abbiamo deciso per l’installazione del server LAMP ci viene chiesto di configurare la password di root (non è l’utente root di sistema) per il nostro database MySQL. Anche se non sapete ancora di cosa si tratti esattamente, sappiate che serve per avere un webserver LAMP standard e quindi dategli una buona password.

Confermiamo la password.

Infine ci viene chiesto se vogliamo installare il boot loader GRUB. Nel caso in cui il server venga installato ex-novo su una macchina vergine, allora possiamo dire di sì. Questo installerà il boot loader personalizzato che offrirà diverse possibilità di avvio e configurazione dopo.

Quando è tutto completato estraiamo il disco dell’installazione (o rimuoviamo la ISO che abbiamo caricato nella macchina virtuale).

Fatto questo il sistema si riavvierà portandoci alla schermata di accesso.

Per accedere è sufficiente digitare il nome del nostro utente (per me petar) e la password che abbiamo scelto.

Fatto questo abbiamo terminato la prima parte dell’installazione. Adesso il nostro server Ubuntu è pronto e operativo.

Se stiamo utilizzando VirtualBox possiamo cominciare ad inoltrare le prime porte (qualora lo utilizziamo in modalità NAT) verso il nostro server.

Se lavoriamo da Windows possiamo aprire il Prompt dei comandi ed effettuare un ipconfig per trovare l’indirizzo della scheda di rete di VirtualBox. Nel mio caso il risultato è questo (è questo nella maggior parte dei casi standard).

Questo significa che l’IP su cui vedo la rete di VirtualBox è l’indirizzo 192.168.56.1

Per modificare l’inoltro delle porte sulla macchina virtuale è sufficiente andare nelle impostazioni della macchina e poi su Avanzate selezionare “Inoltro delle porte“.

Si aprirà una schermata vuota (se è la prima volta che la usiamo) nella quale dovremo mettere i seguenti dati.

Per aggiungere nuove regole è sufficiente cliccare sul tasto col più verde (freccia rossa). La macchina host è la nostra che vedrà l’IP all’indirizzo suddetto; la macchina guest è la nostra macchina virtuale. Tipicamente, nella configurazione NAT, viene assegnato l’IP 10.0.2.15; per verificarlo è sufficiente utilizzare ifconfig all’interno di Ubuntu nel modo seguente.

Faccio notare che il comando è ifconfig anziché ipconfig come su Windows. Quello che si richiede è la configurazione dell’interfaccia. Ci vengono mostrate due interfacce, enp0s3 (in una configurazione su macchina fisica qui potremmo vedere eht0) e l’interfaccia lo (elle-o, che sta per local), ovvero l’interfaccia degli indirizzi interni alla macchina. Notiamo infatti che sull’interfaccia enp0s3 abbiamo configurato l’indirizzo 10.0.2.15 (che è quello esterno della macchina sulla rete), e sull’interfaccia lo abbiamo configurato 127.0.0.1 che è il nostro localhost.

Fatte tutte queste belle cose, e con la macchina attiva ovviamente, possiamo aprire il browser sulla macchina host (per esempio sul nostro computer Windows) oppure sul computer dal quale ci vogliamo collegare al server con Ubuntu, e digitare nel browser l’indirizzo http://192.168.56.1

Se tutto è andato bene dovremmo vedere una schermata simile a questo. Questo significa che il nostro server web è attivo e pronto all’uso.

Adesso controlliamo che funzioni anche il server SSH. Per farlo ci sarà sufficiente scaricare putty e avviarlo nel modo seguente:

Come potete vedere è sufficiente digitare l’indirizzo del nostro server (tenendo sempre a mente l’inoltro delle porte fatto prima) e cliccare su Open.

Ci verrà chiesto di acquisire la chiave per la crittografia, gli diciamo di .

Ci verrà mostrata la solita schermata di accesso ad Ubuntu dove digitare nome utente e password, come abbiamo fatto al primo accesso.

Il motivo per cui preferisco utilizzare putty anche in una configurazione con la macchina virtuale è la possibilità di copiare ed incollare agilmente i comandi che mi interessano sopra. Infatti per copiare da putty è sufficiente selezionare del testo (qualunque testo selezionato verrà automaticamente copiato). Per incollare è sufficiente cliccare col tasto destro del mouse. Vi consiglio di fare un po’ di pratica prima di cominciare a lavorarci, copiando ed incollando dei comandi elementari per non rischiare di fare pasticci dopo.

Fatto questo passiamo alla configurazione del firewall di Linux.

Firewall su Ubuntu

A prima vista potrebbe sembrare difficile, ma in realtà è tutto semplicissimo.

Anzitutto digitiamo nel terminale il seguente comando:

Siccome è una guida per esordienti totali faccio notare alcune caratteristiche:

  1. sudo server ad eseguire i comandi come SuperUser, significa letteralmente SuperUser do
  2. iptables è il firewall predefinito all’interno di Linux, nello specifico in Ubuntu
  3. -L e -v sono due opzioni per iptables, usando i comandi da terminale possiamo passare ad ogni comando delle opzioni aggiuntive per modificarne il funzionamento, in particolare -L visualizza la lista delle impostazioni e -v lo fa in modo “verbose“, ovvero fornendo numerosi dettagli, per maggiori approfondimenti sui parametri che possiamo passare ad iptables possiamo utilizzare man iptables (man è il manuale interno di Ubuntu)
  4. | questo è un comando di bash che ci permette di effettuare un’operazione successiva sull’output precedente
  5. grep Chain è il comando con il quale “catturiamo” le righe dell’output contenenti la voce Chain che verrà evidenziata

L’output del comando precedente dovrebbe mostrarci qualcosa come:

Prima di proseguire sarà bene chiarire come funziona il firewall dentro Linux. Partiamo con uno schema:

Questo grafico l’ho scopiazzato da qui, dove troverete anche una guida approfondita sul firewall in generale

Come si vede nell’immagine di sopra abbiamo 3 canali principali (detti catene); INPUT, OUTPUT e FORWARD. Il loro scopo potrebbe essere descritto in questo modo:

  • INPUT traffico in entrata, per esempio collegarsi da fuori verso il PC in SSH oppure interrogare il server web in HTTP
  • FORWARD traffico reindirizzato, si usa solo nel caso in cui il PC effettui operazioni di routing
  • OUTPUT connessioni in uscita, per esempio operazioni di ping

Sostanzialmente quello che ci interessa controllare, in un primo momento (senza entrare in configurazioni e monitoraggi più complessi ed articolati) sono le catene in INPUT e FORWARD. Il controllo viene eseguito mediante 3 criteri di “catena”, la chain di cui si parlava prima, ovvero dei criteri che stabiliscono se nel flusso dei dati determinati pacchetti debbano o meno proseguire. I criteri sono i seguenti:

  • ACCEPT permette
  • DROP blocca come se non esistesse
  • REJECT blocca inviando un errore

Se vi sembra tutto complicato aspettate un secondo e vedrete che in realtà è semplicissimo.

Anzitutto chiudiamo tutte le catene in INPUT e FORWARD. Utilizziamo i seguenti due comandi (ATTENZIONE! prima di eseguirli leggere quanto segue):

Faccio notare che:

  • -P cambia i criteri della catena
  • -A aggiunge criterio alla catena esistente

Quando utilizziamo -P significa che vogliamo reimpostare l’intera catena degli INPUT (per esempio), cancellando quindi tutte le impostazioni precedenti. Con il comando -A invece possiamo aggiungere dei criteri.

Se li eseguissimo questi bloccherebbero tutte le connessioni in entrata compresa quella SSH di cui abbiamo bisogno per gestire il sistema, quindi dobbiamo aggiungere un secondo commando nello specifico:

Questo aprirà le connessioni in INPUT.

Se aveste inavvertitamente bloccato tutto (a parte poter lavorare tranquillamente da dentro la macchina) sarà sufficiente eseguire i seguenti comandi per riattivare tutte le porte.

Sarà comunque sufficiente riavviare la macchina, nel caso estremo di inaccessibilità, per ripristinare tutto (e questo ci porta dopo al vedere come salvare le impostazioni).

Comunque sia per effettuare la suddetta chiusura e lasciare aperta solo la porta 22 sarà sufficiente eseguire il seguente comando:

Faccio notare l’utilizzo di && che serve a concatenare i comandi tra di loro, per cui se ho due comandi A e B e digito A && B, B viene eseguito solo se A ha successo. In questo modo collego tutti e tre i comandi e li eseguo di fila, bloccando tutto e aprendo immediatamente la connessione sulla porta 22. Questo mi consente di continuare ad accedere tranquillamente da putty.

Adesso sblocchiamo gli INPUT sulla scheda interna (ricordate la lo di prima?) digitando:

Inoltre sblocchiamo le connessioni in entrata generate da richieste interne (ok, anche qui potremmo avere dei problemi di sicurezza nel caso di malaware interni alla macchina, ma per il momento possiamo supporre di avere un sistema pulito e non preoccuparcene):

Adesso apriamo le porte per l’HTTP e l’HTTPS, rispettivamente le porte 80 e 443 (a meno di non aver cambiato qualcosa):

Fatto questo verifichiamo che sia tutto in regola digitando:

Dovremmo vedere un output simile a questo:

Faccio notare che non abbiamo aperto porte per l’FTP (ma è meglio che resti chiuso), né per IMAP, POP3 o SMTP. Via via che avremo bisogno di tali servizi potremo aprire le specifiche porte.

A questo punto è il momento di salvare la configurazione in modo permanente (ricordate che al riavvio va riconfigurato tutto?), perciò digitiamo:

Questo installerà iptables-persistent (vi ricordo che con apt-get possiamo gestire i pacchetti di installazione Debian/Ubuntu e con il parametro install installarli)

Vi verrà chiesto di confermare l’installazione con un S e poi comparirà una schermata (tipicamente fucsia) dove vi verrà chiesto se salvare la configurazione attuale.

In generale per salvare la configurazione (da Ubuntu 16.04 in poi) è sufficiente utilizzare i seguenti comandi, una volta installato il servizio:

Adesso riavviamo tutto il sistema per verificare di aver configurato tutto correttamente. E’ sufficiente digitare:

Digitando nuovamente:

Verifichiamo che sia tutto al proprio posto. Se è così il firewall è configurato e perfettamente funzionante.

Se volessimo adesso escludere un indirizzo IP bloccandolo ci sarebbe sufficiente digitare:

Dove l’indirizzo 15.15.15.51 è quello ipotetico che vogliamo bloccare. Ad ogni modifica del firewall ricordiamoci di salvare il tutto.

Fail2Ban per bannare i tentativi di accesso illeciti

Siccome abbiamo aperto il server sul SSH la nostra prima preoccupazione dovrebbe essere quella di bloccare tutti gli accessi indesiderati, in particolare di bloccare i tentativi di accesso malevoli. Per farlo su Ubuntu esiste un fantastico programma chiamato Fail2Ban.

Anzitutto installiamo fail2ban digitando:

Una volta installato modifichiamo la configurazione principale digitando:

Visto che siamo degli esordienti totali approfondiamo un paio di cose:

  • cd serve a cambiare cartella, letteralmente change directory, e ci fa posizionare in /etc/fail2ban, ricordiamoci che nella cartella /etc di solito si trovano i file di configurazione dei programmi
  • cp serve a copiare il file jail.conf in jail.local, in questo modo non intaccheremo la configurazione originale di fail2ban e potremo sempre ripristinarla semplicemente cancellando il file appena creato e ricreandolo nella suddetta maniera

Fatto questo digitiamo:

nano è un editor da terminale di Ubuntu, le opzioni che appaiono come ^O oppure ^X sono eseguibili premendo CTRL+O oppure CTRL+X. Queste due in particolare servono a salvare le modifiche apportate e ad uscire dall’editor.

Per muoverci dentro il file utilizziamo le frecce direzionali e spostiamoci verso il basso fino ad individuare le voci che vogliamo modificare. I # servono come commenti, quindi rendono nulle le righe di codice che precedono. Quello che vedremo sarà qualcosa di simile a questo:

Modifichiamo le seguenti voci (cercandole scendendo verso il basso):

Questo imposterà il tempo di ban su 1 ora, ovvero 60*60 secondi e il numero massimo di tentativi sbagliati prima di essere bannati sarà 3.

Il parametro findtime determina invece la finestra temporale per gli errori, impostato a 600 significa che si possono fare 3 errori consecutivi, prima di essere bannati, nell’arco di 10 minuti.

Scendiamo ancora in basso e cerchiamo la jail del SSH che si presenterà così:

Lo modifichiamo per farlo diventare così:

Premiamo CTRL+O per salvare il file.

Faccio notare che abbiamo cambiato il percorso dei file log in modo tale che legga quello giusto.

A questo punto riavviamo il servizio fail2ban (per ricaricare le impostazioni), digitando:

Ci dovrebbe rispondere nel modo seguente:

In caso di errore significa che abbiamo sbagliato a scrivere qualcosa nel file di configurazione.

Per visualizzare gli IP bannati ci sarà sufficiente usare di nuovo iptables.

Mentre per rimuovere un indirizzo IP dalla lista di quelli bloccati sarà sufficiente digitare:

In questo caso la jail dalla quale lo vogliamo sbannare è quella del sshd (la d finale sta per daemon, praticamente un servizio di linux) e sbanniamo l’indirizzo ip 10.0.2.2 che è quello da cui la mia macchia virtuale vede connettersi il sottoscritto.

Adesso passiamo ad installare Webmin, la manna dal cielo per chiunque debba gestire un webserver da remoto.

Installazione Webmin

Anzitutto aggiungiamo la repository di Webmin all’elenco delle sorgenti di installazione per il nostro server. Per farlo modifichiamo il file delle repository digitando:

Aggiungiamo in fondo la seguente riga (con CTRL+V ci spostiamo velocemente verso il basso)

Premiamo CTRL+X per salvare il tutto.

Adesso posizioniamoci nella nostra home (in realtà dovremmo già esserci), qualora non lo fossimo digitiamo:

Chiaramente al posto di petar ci va il vostro nome utente.

Scarichiamo la chiave della repository aggiunta in modo da installarla nel sistema, affinché la riconosca come attendibile.

wget è il comando che permette di scaricare da internet il contenuto di un link e salvare nel computer. In questo caso scaricherà il file dall’indirizzo dato e lo salverà tale e quale nella nostra cartella home.

Appena finito il download digitiamo:

In questo modo registriamo la chiave che ci interessa. Nel terminale dovrebbe comparire un OK di conferma.

A questo punto aggiorniamo la nostra repository interna digitando:

Appena il processo sarà finito possiamo passare all’installazione di webmin.

Per farlo sarà sufficiente digitare (e poi confermare con un S come al solito):

Se tutto è andato come dovrebbe allora vi comparirà un messaggio come il seguente:

Questo significa che possiamo raggiungere webmin alla porta 10.000. Ovvero digitando (nel mio caso, per via della configurazione precedente) https://192.168.56.1:10000

Naturalmente l’indirizzo risulterà irraggiungibile perché va aperta la porta 10.000 sul firewall, per farlo sarà sufficiente digitare:

Ricordiamoci anche di effettuare l’inoltro (qualora usassimo la macchina virtuale) da virtualbox.

Se abbiamo fatto tutto bene dovremmo poter accedere a Webmin in questo modo.

Vi faccio notare che non abbiamo un certificato valido, quindi il browser potrebbe segnalarci la connessione in HTTPS come non sicura. Inoltre, nonostante si siano aperte le porte per l’HTTPS standard, bisogna aprire anche quella di webmin, perché quello standard va sulla 443, mentre webmin (di predefinito) sulla porta 10.000.

Possiamo effettuare il login con i nostri nome utente e password accedendo alla seguente schermata.

Da qui possiamo gestire buona parte delle impostazioni del nostro server, oltre che controllarne sempre lo stato.

E per concludere ultima modifica di sicurezza. Abilitiamo webmin solo verso il nostro indirizzo IP.

Per farlo è sufficiente modificare il file di configurazione, usando sempre il terminale. Digitiamo:

Così apriamo il file di configurazione di webmin.

Subito sotto la riga della porta aggiungiamo una linea dove mettiamo il nostro indirizzo IP (nel mio caso 10.0.2.2, quello da cui mi vede la macchina virtuale)

In questo modo l’accesso sarà consentito solamente dal mio indirizzo. Questo è molto pratico quando avete un indirizzo IP statico, ma anche se non lo aveste potete sempre accedere prima in SSH e abilitare il vostro indirizzo corrente. In questo modo tenete webmin al sicuro e lontano da tentativi di hacking (più o meno, ma non è il momento per approfondire).

Perché la configurazione abbia successo è necessario riavviare webmin digitando:

Quest’ultima operazione è fattibile anche da dentro a Webmin, seguendo le seguenti istruzioni.

Testiamo il PHP

Infine testiamo il nostro webserver creando una semplice pagina PHP.

Anzitutto spostiamoci nella cartella di apache, digitando:

Utilizzando il comando ls vedremo che qui c’è un unico file chiamato index.html, che è quello che abbiamo visto in precedenza quando abbiamo avviato apache.

Cancelliamolo e creiamo un nuovo file index.php

Si aprirà l’editor nano, dentro incolliamo il seguente codice:

Ancora una volta CTRL+O per salvare (e quindi creare) il file, CTRL+X per uscire.

ATTENZIONE! Abbiamo creato il file come root, infatti digitando ls -l dovreste vedere qualcosa di simile a

Per essere un file eseguibile correttamente da apache, e soprattutto per non avere problemi di sicurezza, il file deve essere impostato su www-data, quindi usiamo il comando chown per cambiare proprietario (letteralmente change owner)

Fatto tutto questo visitiamo nuovamente http://192.168.56.1/

Se tutto è andato per il verso giusto dovremmo vedere una simpatica scritta che dichiara a caratteri cubitali: Ciao, Mondo!

 

Ultima revisione: 19 febbraio 2018

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